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martedì 10 aprile 2012

L'Aquila tornerà a volare?

Alfin partimmo per il weekend di Pasqua!
Nonostante il giorno prima la Pop avesse avuto una febbre a 38° ma senza sintomi, sparita così come era arrivata, nonostante la famigghia ci volesse con sé, nonostante il meteo desse tempo incerto, locuste e cavallette.
Destinazione: un agriturismo in Abruzzo.
Quando partiamo in Italia andiamo quasi sempre in agriturismo, forse per avere l’illusione di far stare la Pop un po’ a contatto con la natura, per respirare aria pura e se non altro per aprire la finestra e non trovarsi un palazzo di fronte.
All’ora di pranzo decidiamo di fare una sosta, il cosiddetto fermino rigenerante.
Da un po’ di giorni ho un’idea in testa..allora dico “Ma se andassimo a L’Aquila?”.
E’ da allora che vorrei andarci, per vedere di persona, per capire.
Appena accaduto non era possibile, mi sembrava di stare fra i piedi a chi si dava da fare.
Ora mi sembrava l’occasione giusta, anche se abbiamo dovuto deviare dal nostro itinerario.
Ho pensato, forse in maniera un po’ infantile, se proprio devo fermarmi e pranzare in un posto, che sia almeno lì, in modo da stare simbolicamente vicino a quelle persone e aiutare metaforicamente chi ha riaperto le proprie attività.
Abbiamo mancato di un giorno l’anniversario e forse è stato meglio così perché volevo vedere con i miei occhi senza falsa retorica e intermediari fastidiosi che inevitabilmente ci sono in queste occasioni.
Per tutti il terremoto dell’Aquila ha rappresentato un po’ il nostro 11 settembre, tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo in quel momento, la paura delle scosse, cosa abbiamo fatto per aiutare questa città e ognuno ha conoscenza diretta di qualcuno che ha perso la vita lì.
Il mio legame con L'Aquila c'è, ci sono stata varie volte, ma forse il legame più grande ce l’ho con le montagne di questa terra, col gigante buono, il Corno Grande di Campo Imperatore, con questa terra selvaggia e aspra che l’uomo non è riuscito a sottomettere. Con la gente semplice e vera a volte un po’ ruvida proprio come i suoi monti. Tantissime volte sono stata in queste zone, in vacanza, a fare delle camminate, a fare un campo anti-incendio.
Una volta un signore mi aiutò a scalare la direttissima per il Corno Grande, mi ci ero avventurata un po’ impudentemente e lui mi tirò su con le corde. Arrivati in vetta commentavamo la bellezza del panorama e l’impresa faticosa e lui disse “Bè se uno non vuole faticare può rimanere a passeggiare sotto i portici de L’Aquila”, da allora questa frase è entrata nel mio modo di parlare e a distanza di 3 anni dal terremoto mi viene proprio da chiedermi “Già..che ne è dei portici dell’Aquila?”.

Arriviamo in città senza neanche sapere bene cosa aspettarci a parte le immagini viste in tv.
In periferia è tutto normale, c’è il traffico di una normale città del sabato mattina, macchine e negozi.
Procedendo verso il centro vediamo palazzi abbastanza nuovi che sembrano normali ma poi vedi le crepe sui muri e capisci che è tutto abbandonato.
Parcheggiamo e procediamo a piedi.
Ci sono un po’ di persone in giro. Avevo sentito che gli Aquilani continuavano comunque nei giorni di festa a passeggiare per il loro centro storico.
Poi ben presto non c’è più nessuno, forse perchè è ora di pranzo.
Ci sono solo turisti come noi.
Io mi vergogno quasi a tirare fuori la macchina fotografica, mi sento un avvoltoio di quelli che va ad Avetrana a farsi la foto facendo con le dita il segno V di vittoria, ma poi mi dico che forse è giusto documentare e che anche altri sappiano.

E’ tutto rimasto fermo a 3 anni fa.
La locandina del cinema è “Gli amici del bar Margherita”.
E’ tutto molto irreale, ci aggiriamo come fantasmi in questa parte di città che è enorme.
Ci siamo solo noi, un’infinità di case puntellate, pali e travi di legno dappertutto.
Tutto è rimasto cristallizzato…. Ci sono addirittura ancora cumuli di macerie.
E che ne è dei portici?
Già i portici...eccoli qui.


Alcuni agibili, altri no.

Non c’è anima viva, anche gli uccelli sono andati via, c’è solo qualche cane randagio…
La cosa più impressionante è il silenzio. Un silenzio che fa quasi male alle orecchie, ogni tanto rotto solo da qualche persiana ciondolante che sbatte.
Quello che De Gregori chiama “forte rumore di niente”, azzeccato e terribile ossimoro.


Sono pochissimi i negozi aperti. C’è qualche bar che tiene il volume della radio altissima o  forse siamo noi che lo avvertiamo così.
Pranziamo in una tavola calda, il proprietario ha la faccia triste. In bagno c’è un generatore di corrente che fa un casino d’inferno. Nella sala coi tavoli ha messo dei faretti che cambiano colore continuamente e rendono il tutto ancora più irreale. Vorrei fargli delle domande. Ma non mi escono, mi sembrano tutte stupide. Faccio finta che sia tutto normale mangiamo, paghiamo e usciamo. E lo stesso al bar dove prendiamo un caffè.
Forse quello di cui hanno bisogno queste persone è la normalità.
Poi esci e ti ritrovi di nuovo questi maledetti pali che puntellano tutto e ti accorgi che l’abitazione sopra il bar non ha più il balcone.

Sembra di essere nel far west, ti aspetti da un momento all’altro una balla di erba secca che rotola nella via o forse già c’è.

Dispiace dirlo ma L’Aquila è di fatto proprio come le città del Far West, una città morta o meglio è una città che hanno lasciato morire.
Spendere milioni per puntellare migliaia di edifici per la messa in sicurezza è un’operazione che deve essere preludio di un qualche tipo di ricostruzione, di provvedimento concreto.
Qui hanno lasciato tutto così e mi chiedo la messa in sicurezza per chi l’hanno fatta.
Mi sembra solo una colossale presa per culo e sperpero di soldi che potevano essere utilizzati in altro modo.
Dare le case a chi l’ha persa è stato il mimino necessario che si potesse fare. Anche perché queste non sono certe zone dove si può stare in container con le temperature che si raggiungono d’inverno.
Ma lasciare tutto così è un insulto alla dignità degli Aquilani. Lasciare in stato di abbandono, transennare per non si sa quanto tempo il centro storico significa privarli dalla memoria, della storia, del passato. Vuol dire dargli qualcosa per sopravvivere materialmente ma togliere la possibilità di vivere, di esistere.


Sicuramente ricostruire è un’opera colossale che richiede una quantità di soldi immane che lo Stato con tutti i problemi che ci sono ora non ha nessuna intenzione di tirare fuori.
Inutile dire “Sai in Giappone cosa avrebbero fatto al posto nostro” o “Potrebbero riversare qui tutti i soldi bloccati alla criminalità, provenienti dal Lotto, dai Monopoli ecc”.
Io temo che rimarrà tutto così perché manca proprio la volontà di fare qualcosa.
A questo punto sarebbe meglio che scendessero in campo i privati, ognuno adotta un palazzo, lo ristruttura e la targa “L’Università è stata ristrutturata grazie ai confetti Falqui” sarebbe un po’ un pugno in un occhio ma sempre meglio di quello che si vede ora.
Ora ci saranno le elezioni, chi vincerà si troverà a gestire un fardello enorme ma di fatto forse non può fare granchè perché è un problema troppo grande da gestire e che non gli compete.
Ogni tanto si vedono camionette di militari ferme agli incroci, così sembra proprio di stare a Baghdad. Ma che ci stanno a fare? Cosa presidiano? I pali? Stanno sempre al cellulare…ma levassero piuttosto qualche calcinaccio che ci sono cumuli ancora dappertutto.



Mi rimarranno sempre nel cuore le scritte, i cartelli scritti da chi in quella città c’è nato e cresciuto e da chi non si arrende anche di fronte a qualcosa di così inspiegabilmente troppo grande e assurdo.





Una menzione speciale va alla campagna "Mettiamoci una pezza" che ha portato un po’ di colore e vita a questa martoriata città http://mettiamociunapezza.wordpress.com/ e trasmettendo un forte segnale.



Il mio consiglio è di andarla a visitare, perché solo vedendola si capisce tutto davvero e perché è inutile fare finta di niente ma L’Aquila siamo un po’ di tutti noi.





Perchè se un cittadino deluso, tradito, amareggiato e incazzato, appende le proprie chiavi di casa ha fallito lo Stato e quindi abbiamo fallito tutti noi.







2 commenti:

  1. Arrivo su questo blog per caso. Sono aquilana. Grazie per l'attenzione che hai riservato alla nostra città e per la delicatezza con cui ne parli. Posso solo chiarire due cose che mi sembrano imprecise e sulle quali, forse, possiamo riflettere insieme?
    dire che l'aquila è morta, o che l'hanno lasciata morire, significa dire che io son un fantasma. Accettare che l'aquila sia morta significa permettere a chi governa e decide delle nostre vite di non prendersi la responsabilità di ricostruirla. Noi siamo li, anzi, ci siamo tornati, e ogni giorno viviamo una vita complicata, fatta di amore e odio... ma se continuate e dirci che siamo fantasmi prima o poi ci convinceremo di esserlo e lasceremo tutto... moriremo un po' anche noi... aiutateci a non farlo considerando l'aquila un malato da salvare assolutamente, portateci vitamine e medicine, non fiori e preghiere!
    due: non ci hanno dato case. Le abitazioni create dopo l'emergenza non sono case, ma casette di legno o prefabbricati costate 2750 euro al metro quadrato: un'enormità rispetto agli 800 euro al metro quadrato che abbiamo a disposizione per rifare le nostre case, quelle vere. volevate i container? SSSSSIIII! perchè costavano meno e avremmo avuto prima i soldi per le nostre case. I container non sono quelli dell'Irpinia degli anni '80. Ad Amsterdam e copenaghen sono adottati come soluzione abitativa per gli studenti. C'era da stringere i denti, certo, ma avremmo avuto le nostre case prima. La casetta di legno data ai miei genitori costa 70 mila euro. Per ristrutturare casa loro ce ne vogliono 60 mila e due anni di lavoro.
    Se ci avessero dato un container e i soldi per riparare casa, loro ora vivrebbero a casa loro, il container sarebbe stato rimosso.
    Così, invece: quando torneranno i miei a casa loro? e quelle casette di legno come verranno rimosse? quanti soldi sono stati sprecati in tutto questo? quante altre famiglie avrebbero già potuto sistemare casa con una ottimizzazione delle risorse? è successo all'aquila, e se fosse successo a roma, firenze? dopo aver visto l'aquila vi sentite ancora sicuri e tutelati dallo stato? Hai ragione tu e ti ringrazio per averlo scritto: se un cittadino appende le chiavi di casa a una transenna lo stato ha fallito. hai colto nel segno!
    Scusa se in alcuni passaggi sono stata dura, ma fa ancora molto male vedere lo scempio del posto in cui vivi.
    Con gratitudine
    elisa cerasoli

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  2. Io non accetto che L'Aquila sia morta, ho detto solo che la mia sensazione è stata quella, che ci sia un immobilismo da parte dello Stato, che dopo un po' di attività iniziali abbiano lasciato tutto fermo. Io non vi considero fantasmi ma lo stato si e, per quello che mi sembra, non ha nessuna intenzione di cambiare le cose. Riguardo la precisazione delle case ti ringrazio perchè non ne so assolutamente nulla. Noi esterni ovviamente possiamo solo immaginare quello che avete provato e state provando. Vedere tutto di persona è stato scioccante ma illuminante come penso lo sia stato per chi ha visto le mie foto, nessuno immagina davvero che sia rimasto tutto così. L'unica cosa che sento di fare e di tornare con qualcuno del posto per capire ancora di più. grazie della lettura e della preziosa testimonianza

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