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domenica 15 dicembre 2013

Quer gran mito der Monnezza (Intervista possibile)

Mi chiama Roberto per propormi un'intervista che potrebbe rivelarsi interessante, con Quinto Gambi, colui che ha ispirato Er Monnezza, Tomas Milian.
Ne so poco a riguardo, sono scettica e spulcio su Google.
Dopo vari tentativi andati a vuoto finalmente riusciamo a incontrarlo. Roberto mi mette in guardia: è un tipo sopra le righe ma molto alla mano.
Ci vediamo di fronte la stazione della metropolitana, non sappiamo bene cosa aspettarci, possiamo solo fare riferimento alle fotografie viste su internet. Io me lo immagino arrivare su un macchinone sgangherato e poi camminare con andatura dinoccolata. Un po' ci ho preso, ci viene incontro e fa finta di non averci visto e prosegue oltre.
Indossa dei jeans, un paio di stivali neri e un cappello da cowboy nero, i capelli raccolti in una coda.
Quello che mi colpisce subito è il sorriso, uguale a quello di Tomas, anzi Tomase come dice lui, e gli occhi profondi e intensi, lo sguardo di chi ha visto tanto.
Ci porta, su nostra richiesta, a vedere come prima cosa un murales che lo rappresenta. Sopra c'è scritto "I miti di Tormarancia". Lui è rappresentato vestito da cowboy con accanto un cane lupo, Perla, che gli regalarono alla morte della moglie per fargli compagnia.
E un mito lo è davvero.

Passeggiamo in lungo e in largo per il quartiere, senza una direzione precisa, camminiamo per ore, lui con i suoi 80 anni è infaticabile, noi teniamo il passo, lui racconta e ogni tanto si gira "'ndo stai?". Poi ci guida "Gira a destra" "A destra qui?", si finge spazientito "Aho sei forte! Si t'ho detto a destra! Destra è destra!".

Passiamo sotto casa della sorella che vive al terzo piano e cala dal balcone un cestino (con tanto di Babbo Natale) per mettere le cose da portare su. Quello stesso palazzo da cui Quinto da ragazzo scendeva e saliva arrampicandosi alla grondaia. Non per nulla ha fatto la controfigura a Tomase. Ci fa vedere una moto coperta con un telone ormai d'epoca che ha usato anche in un film. Ci racconta, lasciandosi trascinare dai ricordi, che quella zona era chiamata Shangai perchè quando pioveva si allagava tutto, ci ricorda le lotte di quartiere con quelli della Garbatella, loro che invece erano poveri ragazzi di borgata, non avevano giocattoli, non avevano nulla però erano felici.
Echi lontani di una Roma che non esiste più.

Passeggiamo tra i caseggiati e ogni tanto spunta un anacronistico cenno di modernità: il nuovo palazzo di piazzale dei navigatori, la mega-palestra, il ponte bianco che collega con l'ostiense.
Camminiamo per il suo quartiere e tutti lo salutano, scambiano una battuta, lui ha una parola, spesso scherzosa per tutti, si ferma a giocare con i cani che incontra. Mi chiedo se davvero conosca tutti o se è il suo modo di fare, di dare del tu al mondo e alla vita.
Ironico, disincantato, ti spiazza con le sue battute dette in maniera seria, poi ti fissa e ride. È un intercalare continuo di parolacce ma non risulta volgare, come dice lui si usano quando serve. Ci offre un caffè, Roberto cerca di pagare ma Quinto lo ferma:"Tranquillo mica resto in mutande!".

L'incontro con Tomase avvenne in maniera casuale una sera del '66 al Piper, Quinto stava guardando una ballerina:"Nun te stancà troppo!", fraternizzarono subito e fecero amicizia. Tomase lo invitò pure a dormire a casa sua e Quinto tutta la notte rimase immobile nel letto come una mummia per paura di far rumore e che pensasse che stesse frugando nei cassetti.
Quinto vendeva il pesce a un banco al mercato Trionfale e lo aiutò a calarsi nel personaggio Er Monnezza, a caratterizzarlo, a interpretare la romanità.
A quei tempi durante i film molto era improvvisazione, spesso l'attore cambiava tutto quello che il regista aveva programmato.
Ora è tutto diverso, ora contano solo i soldi, che non ci sono, precisa Quinto.
Durante una pausa in un film Quinto si allontana un momento e al ritorno Tomase gli chiede:"Dove sei stato?", lui risponde "....", "Eh?" "....." "Eh?" "So' stato a cacà!!".
Ci racconta dei film con Verdone, con Corbucci, mille aneddotti e ricordi si accavallano.

Quinto è stato contattato ogni tanto per fare un film ma lui continua a voler restare fuori da quegli ambiti, a non voler scendere a patti, a sentirsi estraneo da quel mondo, racconta di una selezione per un film in cui si trova di fronte a un tavolo con tutti quelli che devono esaminarlo ed esordisce con un:"E questi che cazzo vogliono?!" .

Tornando verso la metro Quinto ci chiede se vogliamo andare a vedere il bar dove hanno girato "I Cesaroni" ma sinceramente non ci interessa, ci scherziamo su e rispondiamo come direbbe lui "Troppo commerciale e moderno!".

Non è facile seguire i suoi discorsi, ne inizia tanti senza finirli per poi riprenderli più avanti.
Sulla strada del ritorno gli chiedo della moglie, ho letto da qualche parte che aveva detto delle parole bellissime a riguardo. Lui non se le ricorda o forse non vuole parlarne, mi spiega che a chi gli aveva chiesto da quanti anni è morta ha risposto con stizza:"Perchè vuoi farmici pensare, farmi diventare triste ora che sto pensando ad altro?". Spiega solo che dai 20 ai 40 anni si è divertito, poi dai 40 è stato felicemente sposato.

La famosa frase poi l'ho ritrovata: "E quando è morta, il cielo si è svuotata e io ho pianto tre giorni e non riuscivo più a dormire."

Il futuro è suo nipote nato da poco, Tommaso, proprio come colui che gli ha cambiato la vita o forse no.



foto Roberto Giancaterina








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